giovedì, febbraio 22, 2007

PENA DI MORTE: MORATORIA UNIVERSALE CERCASI

di Elena Ferrara da altrenotizie.org
Come singoli, forse, si può essere cinicamente favorevoli, contrari o indifferenti. Ma un dato è invece certo: lo Stato non può consentire di decidere le sorti di una persona. Si dice: tertium non datur. E così l’uso della “pena di morte” diviene il punto centrale, nodale, della civiltà umana. Ma ora l’Onu con tutta la sua forza ed autorevolezza che interviene nel dibattito prendendo una posizione netta: un “no”. Questa dichiarazione di civiltà acquista ora una dimensione planetaria grazie al fatto che a Parigi si è riunito un “Congresso mondiale contro la Pena di morte”, che ha adottato una dichiarazione che, per la prima volta nella storia del movimento abolizionista, contiene l'unanime riconoscimento dell'importanza di una moratoria universale. E così dopo aver reiterato la richiesta a tutti i Paesi di abolire la pena di morte e di fermare tutte le esecuzioni, il Congresso, "riconoscendo il grande valore che avrebbe per l'abolizione della pena di morte nel mondo il successo di una risoluzione dell'assemblea generale, invita i Paesi membri delle Nazioni Unite a fare tutto quanto è loro possibile per assicurare l'approvazione di una risoluzione che chieda una moratoria immediata e universale delle condanne a morte e delle esecuzioni in vista dell'abolizione universale".Si è, quindi, al giro di boa dell’intera vicenda anche per il fatto che la partita tra abolizionisti e mantenitori ha, nel tempo, cambiato campo di gioco. Con gli abolizionisti che per scongiurare un inutile scontro frontale, hanno cercato altre vie; limitando il più possibile l'applicazione della pena di morte agendo dall'esterno, pur nel rispetto delle singole autorità statali, attraverso delle efficaci barriere soggettive (sulle persone imputabili), oggettive (sui reati commessi) e procedurali (garanzie sul corretto procedimento e divieto di punizioni crudeli e inusuali).Ebbene, proprio in conseguenza di questo nuovo clima e della relativa comprensione planetaria, sono già aumentati anche i paesi firmatari della Dichiarazione contro la pena di morte: da 85 sono passati ad 87 con l'adesione recente della Kirghisia, della Namibia e sono in arrivo altre firme come ad esempio quelle dell'Azerbaijan, del Gabon, del Mozambico.... Ed entro questo mese di febbraio l’Unione Europea si è data l'obiettivo di far aumentare le adesioni per giungere a quota 97, cifra che rappresenterà la maggioranza assoluta dei paesi membri dell'ONU. Intanto due sono le adesioni di rilievo al “no”. Vengono da paesi estremamente diversi quanto a collocazione geografica e politica. Due aree lontane. La Kirghisia, ad esempio, che adotta una nuova Costituzione (il 16 gennaio 2007) stabilendo, all’art.14, che “Nella Repubblica la vita è diritto inalienabile di ogni persona” e che “Nessuno può essere privato della vita”. Ed è sulla base di questo nuovo dettato costituzionale che il Parlamento di questa repubblica sta ora lavorando a modifiche del codice penale che prevedano la sostituzione della pena di morte con lunghe pene carcerarie. Altro “no” recente è quello che viene dall’Assemblea nazionale francese che ha deciso (all’unanimità) di eliminare la pena di morte dalla Costituzione: “Nessuno può essere condannato alla pena di morte” è detto nell'articolo che revisiona un capitolo della Costituzione. Si va così affermando sempre più quel concetto che deve portare la Comunità internazionale ad istituire una moratoria universale delle esecuzioni, in vista, appunto, della completa abolizione della pena di morte. Tutto questo perché dopo l’abolizione della schiavitù e l’interdizione della tortura, il diritto a non essere uccisi a seguito di una misura giudiziaria può essere un altro comune denominatore, una nuova e irriducibile dimensione dell’essere umano che fa di tutti noi un’unica comunità. E non è un caso se queste affermazioni – già contenute in un appello all’Onu – portano firme di valore mondiale, di personaggi che hanno segnato e segnano le vicende della vita attuale. Si sono pronunciati per il “no” il Dalai Lama e Gorbaciov, Nadine Gordimer e Dario Fo, Rita Levi Montalcini e Rigoberta Menchu, Isabel Allende e Bernardo Bertolucci, Norberto Bobbio e Noam Chomsky, Umberto Eco e David Grossman, Luis Sepulveda e Gore Vidal… Per restare in Italia, ricordiamoci che il primo Stato ad abolire la pena di morte fu il “nostro” Granducato di Toscana che nel novembre del 1786 eliminò la tortura e la pena capitale. Oggi, nell’arena della morte decisa a livello “statale”, dominano due grandi paesi: la Cina che la applica come sanzione prevista dal codice penale e gli Usa che, per ora, l’applicano in vari stati federali. Ed è chiaro che per un’esatta “comprensione” della dignità e dei diritti della persona - primo fra tutti il diritto alla vita – la lotta, come si dice, continua.

Se sei triste e vorresti morire, pensa a chi sa di morire e vorrebbe vivere.
Jim Morrison

giovedì, febbraio 08, 2007

«Bello spettacolo la religione, ma è proprio ora di smontarlo»

Oggi riporto un articolo molto interessante sul tema dell'ateismo. Si tratta di un'intervista fatta da Panorama al filosofo Daniel Dennett che nel suo ultimo saggio ,"Rompere l'incantesimo", critica chi si affida a rituali e fedi, di qualsiasi segno. Per lui credere "significa non voler capire".

di Luca Sciortino da Panorama.it
"Se siete credenti, potreste trovarvi sotto un incantesimo". E se l'affermazione vi fa sorridere, provate almeno a dubitare accettando la sfida di Daniel Dennett. Dopotutto, un po' di razionalismo critico applicato alla religione non è peccato. Caso mai può creare un'accesa discussione, come è accaduto negli Stati Uniti: Dennett, direttore del Centro per gli studi cognitivi della Tufts University, Boston, e filosofo della scienza, a Milano l'8 febbraio per il Darwin day, con il suo libro Rompere l'incantesimo (in uscita ad aprile per l'editore Cortina) ha provocato una bufera nel mondo intellettuale americano.
Dunque lei vuole rompere un incantesimo...
Non tanto quello di chi crede in Dio, piuttosto quello di chi crede nella fede. Mi spiego: c'è chi ritiene che esaminare la religione alla luce delle teorie scientifiche possa romperne l'incantesimo e rivelarsi una catastrofe. Secondo queste persone, la morale, la sicurezza pubblica o altre cose importanti non starebbero in piedi senza lo «show» della religione: le credenze, i rituali, gli ornamenti e le gerarchie delle religioni organizzate. La maggior parte dei religiosi sono fedeli alla fede più che a Dio. Noi scettici vogliamo sottoporre le loro convinzioni alla lente di un microscopio. Se ci sbagliamo, lo ammetteremo, altrimenti servirà a svegliarli dal loro torpore.
Quale ramo della scienza è utile per questa analisi?
Tutta la scienza, in particolare la teoria dell'evoluzione, oltre all'archeologia, l'antropologia e la biologia. Abbiamo bisogno di una visione unitaria di tutto l'insieme dei fenomeni religiosi perché questi sono un prodotto naturale, allo stesso modo di altre cose.
Seguendo il suo ragionamento, la teoria dell'evoluzione dovrebbe spiegare l'emergere dei valori morali creati dall'uomo.
Infatti la usiamo per capire la cooperazione, la lealtà di gruppo, gli istinti morali e così via.
Non le sembra di fare dell'evoluzione una teoria che spiega tutto?
Penso solo che ha molte cose da dire.
E che cosa ha da dire sulla religione?
Le religioni non sono sempre esistite. Si sono evolute da forme primitive, proprio come l'italiano e il francese dal latino, loro antenato comune. Oggi si stanno evolvendo più rapidamente dei linguaggi e moltissime si stanno estinguendo. Come vede, è il campo naturale della teoria di Charles Darwin. Ma quest'indagine spiega anche altro: come si ottiene l'obbedienza dei fedeli, come questa viene persa con riforme sbagliate, come si generano scismi o come le sette divengono violente.
Con quale specie è nata la religione?
Le credenze religiose dipendono in maniera cruciale dal linguaggio. I nostri antenati scimmie credevano nei fatti fondamentali del loro ambiente, per esempio nell'arrivo dei predatori. Quando abbiamo sviluppato il linguaggio è sorta anche la religione, un'idiosincrasia tipicamente umana.
E la sua evoluzione futura?
È molto rapida, tanto che la religione di oggi è differente da quella di cinquant'anni fa. Credo si andrà nella direzione di una minore enfasi sulla dottrina e si farà affidamento più sulla cerimonia. La Chiesa cattolica permetterà alle donne di diventare preti?
Presto, credo, ma dipenderà anche dagli accidenti della storia.
Chi ha fede crede anche nel concetto di Provvidenza.
Ci credono quelli che ne hanno sentito parlare per tutta la vita. È un argomento non sottoposto a critica.
Perché ha tanta fiducia nella scienza?
Come filosofo sono interessato a trovare la verità, e la scienza è il metodo più potente che possediamo per questa ricerca.
Meglio cercare che pensare di possedere una verità assoluta?
Assolutamente. Le spinte dell'identità religiosa sono state e sono fonti di guerre, la fede può indurre a compiere atti violenti contro gli «infedeli». Ma c'è anche un altro aspetto: può ispirare nei leader «che ascoltano la parola di Dio» una sorta di pericolosissima iperconfidenza in sé, oserei dire certezza.Però in un certo senso anche uno scienziato ha una fede: crede nell'esistenza di un mondo esterno e crede che questo sia spiegabile.Be', una fede parzialmente confermata dall'esperienza quotidiana. Un credo religioso è sistematicamente non confermabile.
Senta, Francesco Guicciardini, un filosofo italiano, ha scritto: «Non combattete mai con la religione, né con le cose che dipendono da Dio, perché questo oggetto ha troppa forza nella mente degli sciocchi». Lei davvero crede di convincere qualcuno con questa sua battaglia?
È tempo per la razza umana di diventare adulta. Io voglio convincere i credenti di due cose: primo, che non cercano davvero di capire; secondo, che proprio per questo loro rifiuto ad approfondire non credono veramente.
Lei ha anche adottato un termine per indicare atei e agnostici.
Sì, «bright».
Che vuol dire brillante... ma non si offendono i credenti?
Perché? Propongo di chiamarli super, visto che credono nel soprannaturale. Una parola simpatica come gay, che si riferisce agli omosessuali e significa felice. Magari, come ci sono persone che non frequentano i locali gay, così un super non vorrà leggere il libro di un bright. Peggio per lui.
Le religioni sono come le lucciole: per brillare hanno bisogno del buio
(Arthur Schopenhauer, «Parerga e paralipomena», 1851).

martedì, febbraio 06, 2007

La morte dello sport

Stupidità...E' il primo termine che mi viene in mente per poter descrivere quello che è accaduto l'altra sera allo stadio di Catania. Ma davvero quello che è successo non si poteva prevedere? Davvero bisognava arrivare alla morte di un rappresentante della forza dell'ordine per dover farmare il calcio, questo enorme circo che porta avanti interessi economici grandissimi e che se ne infischia del fatto che la sua credibilità sia gia morta ormai da tanto tempo? Io credo che il momento giusto per fermarsi era proprio quest'estate quando c'eravamo resi ridicoli agli occhi del mondo intero; serviva riscrivere le regole e riorganizzare un mondo che era evidentemente pieno di problemi e di contraddizioni. Il problema della violenza negli stadi è vecchio di decenni e in qualche modo si era tentato di risolverlo, in parte, con la legge Pisanu;Il fatto sconcertante è che questa legge non sia mai stata fatta rispettare, se non in pochi e marginali suoi aspetti. All' indomani della tragedia si sono levati numerosi cori nella direzione di un'eventuale modello inglese da seguire; tutti noi sappiamo che l'inghilterra negli anni 80 e 90 aveva problemi simili a quelli che ora abbiamo noi in Italia. A mio modo di vedere ci sono due grandi differenze tra noi e l'Inghilterra: la prima è che in Italia si è diffuso, sopratutto negli Ultras, un odio profondo nei confronti delle forze dell' ordine che ha portato ,proprio negli scontri di Catania, gli esagitati a preparare una vera e propria imboscata; la seconda differenza credo che sia culturale. In Italia è pressochè impensabile vedere tifosi seduti composti ad un metro dal campo senza barriere, oppure vedere tifosi di squadre opposte ritrovarsi in un pub a fine partita. Esiste un'altro tipo di violenza, oltre a quella fisica, quella verbale: chi ,come a me, è capitato almeno una volta di andare allo stadio avra sicuramente notato come la violenza, quella verbale, sia molto più diffusa di quella fisica. In un paese che ogni giorno si interroga su problemi gravi di ordine pubblico come immigrazione illegale, mafia e quant'altro è veramente assurdo che migliaia di forze dell'ordine ogni domenica debbano rischiare la vita per quello che alla fine rimane comunque un Gioco. Spero sinceramente che per una volta prevalgano gli interessi veri di un paese e non gli interessi economici di una classe che è pronta per l'ennesima volta a far finta di niente. Facciamo sì che la morte di un povero uomo, che per poche decine di Euro in più al mese rischiava la vita, ci faccia aprire gli occhi e ci renda un po' più responsabili.


La più grande debolezza della violenza è l'essere una spirale discendente che da' vita proprio alle cose che cerca di distruggere. Invece di diminuire il male, lo moltiplica... Con la violenza puoi uccidere colui che odia, ma non uccidi l'odio. Infatti la violenza aumenta l'odio e nient'altro... Restituire violenza alla violenza moltiplica la violenza, aggiungendo una più profonda oscurità a una notte ch'è già priva di stelle. L'oscurità non può allontanare l'odio; solo l'amore può farlo.
Martin Luther King

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