martedì, marzo 27, 2007

Un laser contro l'armageddon

da focus
I cannoni laser salveranno la Terra? Secondo Richard Fork, dell'Università dell'Alabama, sì: questa tecnologia permetterà di intercettare e deviare le rocce spaziali che minacciano di colpire il nostro pianeta.
Un laser potrebbe in futuro salvare la Terra deviando gli asteroidi che possono caderci addosso
L'idea di un cannone laser che spazzi il cosmo sbriciolando asteroidi in rotta di collisione con la Terra può sembrare la via di mezzo tra un b-movie e un videogioco degli anni '80. In realtà secondo un team di ricercatori dell'Università dell'Alabama questa tecnica potrebbe permettere, in un futuro non troppo lontano, di intercettare e deviare le enormi rocce spaziali che rischiano di cadere sul nostro pianeta. Secondo Richard Fork e i suoi colleghi, un laser installato nello spazio potrebbe infatti essere utilizzato per modificare gradualmente la rotta degli asteroidi che puntano verso il nostro pianeta.

Bombardamenti spaziali

Già nel passato erano state proposte diverse soluzioni per combattere questa ipotetica catastrofe: una delle più gettonate prevede il bombardamento del corpo celeste con ordigni atomici ad alto potenziale, capaci di romperlo in piccoli pezzi. Che però rischierebbero comunque di colpire la Terra come i frammenti di una granata esplosa.

Colpito e deviato

La tecnologia laser offre soluzioni differenti. Innanzi tutto, può essere adoperata per intercettare e studiare i corpi celesti potenzialmente pericolosi quando ancora si trovano a grande distanza dal nostro pianeta. Gli impulsi laser, mantenendosi inalterati per migliaia e migliaia di chilometri, permetterebbero infatti agli astronomi di studiare gli asteroidi a distanze fino a 10 volte maggiori di quelle attualmente consentite dai telescopi radar più sofisticati, come Arecibo. Bombardando poi il corpo celeste con brevi impulsi sparati su aree delle dimensioni di un francobollo sarebbe possibile erodere la roccia, dando origine a particelle di materiale che verrebbero espulse dall'asteroide alla velocità di 10 chilometri al secondo, più che sufficienti per creare un "effetto razzo" in grado di modificare, nel giro di qualche mese, la rotta del sasso cosmico.

Questione di peso

Secondo i ricercatori sarebbe necessario installare almeno otto diversi laser su altrettante navicelle dislocate in diversi punti della cintura degli asteroidi, ma accorre ancora superare diversi ostacoli tecnologici: il laser, per poter essere utilizzato con finalità di studio su forma, composizione e dimensioni dei corpi celesti, dovrebbe avere antenne larghe almeno 30 metri e la loro installazione nello spazio non è affatto semplice. Anche i pesi delle apparecchiature sono un problema rilevante: occorre mettere a punto materiali e soluzioni che permettano di realizzare installazioni che non siano più grandi di un camion, altrimenti i loro lancio nel cosmo sarebbe impossibile.

Aspettando il 2036

Attualmente Fork e il suo team stanno mettendo a punto un laser al titanio e zaffiro capace di polverizzare la roccia. L'idea è che questo prototipo possa aprire la strada a strumenti capaci di salvare l'umanità in caso di bisogno. Al momento le uniche ipotesi sull'impatto tra una roccia spaziale e il nostro pianeta sono legate all'asteroide Apophis: se nel 2029 attraverserà una ben precisa zona del cosmo, larga non più di 600 metri, ci sarà 1 possibilità su 45.000 che urti contro la Terra il 13 Aprile del 2036.

(Notizia aggiornata al 20 marzo 2007)

Il futuro influenza il presente tanto quanto il passato.
Friedrich Nietzsche

mercoledì, marzo 14, 2007

Italian Metal Jacket

Andrea Barolini e Emanuele Isonio - mensile “Valori” nr. 7 marzo 2007 - www.valori.it

UN EXPORT CHE SUPERA 1600 MILIONI DI EURO ALL'ANNO.
Un volume di operazioni finanziarie quantificato in oltre un miliardo e cento milioni di euro. E’ il triste piazzamento (al settimo posto) nella classifica mondiale dei Paesi che ne fabbricano di più. E’ la fotografia dell'Italia che produce. Purtroppo, però, si tratta di armi. ~ un'industria fiorente, quella che sforna pistole, mitra e kalashnikov in tutto il mondo: si stima che la spesa militare complessiva abbia superato di quindici volte quella destinata ogni anno agli aiuti umanitari. Un mercato globale che coinvolge ormai ogni continente: se Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia e Germania coprono l'82 per cento delle esportazioni mondiali, fanno ormai parte dell'elenco delle prime cento industrie armiere del pianeta aziende brasiliane, sud-coreane, indiane, sudafricane e di Singapore. Complessivamente, alla fine di quest'anno, la spesa militare raggiungerà la cifra senza precedenti di oltre 1000 miliardi di dollari. Superiore perfino a quella (record) registrata negli anni 1977- 1978, in piena guerra fredda. Il risultato? Un morto al minuto vittima di arma da fuoco, otto milioni di armi prodotte ogni anno e così tante pallottole da essere sufficienti ad uccidere l'intera umanità. Due volte.
I dieci più grandi produttori di armi. Italia è al decimo posto con Finmeccanica
Una montagna di denaro che fa gola a molti. Anche in Italia. D'altra parte, il nostro Paese è da sempre un grande produttore di armi. Ma ha anche, storicamente, una delle legislazioni più avanzate in tema di traffico di armi. 0 forse l'aveva e non l'ha più? Già, perché l'Italia - un anno fa - ha modificato la propria legislazione in materia di commercio di armi sul territorio nazionale. Nella legge n'49 del 21 febbraio 2006 (che disponeva "misure urgenti per garantire la sicurezza e i finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali di Torino") il governo Berlusconi fece inserire, infatti, una norma che modificava un vecchio regio decreto del 1931, nel quale si vieta la raccolta e la detenzione senza licenza ministeriale di armi da guerra, munizioni, uniformi militari e altro equipaggiamento analogo. Oggi, recita la legge, "con la licenza di fabbricazione sono consentite le attività commerciali connesse e la riparazione delle armi prodotte". Tradotto: la licenza di fabbricazione non consente solo di produrre le armi, ma anche di venderle e ripararle se di seconda mano.
Una piccola rivoluzione per gli industriali armieri, tanto che alcune tra le più importanti aziende del settore - compreso il colosso austriaco Glock - starebbero ipotizzando di aprire proprie "filiali italiane”. Un bel regalo, però anche per Ugo Gussalli Beretta, proprietario dell'omonima azienda di Gardone Val Trompia. Il maggior produttore italiano di pistole e il fornitore della stragrande maggioranza delle armi in dotazione alla Polizia di Stato. Un amico personale di Silvio Berlusconi e un fervente sostenitore di Forza Italia che da qualche anno si deve difendere dall'accusa di aver contribuito a foraggiare la guerriglia irachena.
Le indagini della magistratura

Secondo i pm di Brescia che indagano sulla vicenda, le cose sono andate così: nel febbraio del 2003 il ministero dell'Interno aveva ceduto alla fabbrica bresciana 44.926 pistole Beretta 92S (classificate come "fuori uso" ma spesso perfettamente funzionanti). Una vera e propria svendita a prezzi stracciati: 10 euro al pezzo. Giustificazione ufficiale: "Sono rotte”. La ditta di Gardone Valtrompia le avrebbe invece risistemate facilmente e rese nuovamente funzionanti, nonostante dal 2002 non possedesse più la licenza per riparare armi.
Come? Il trucco per aggirare la legge sarebbe stato quello di vendere parte degli armamenti ad una celebre ditta britannica, la Heltston Gunsmith. Azienda prestigiosa nel settore, in possesso di tutti i diritti e le licenze per produrre e riparare armi. in realtà, però, le Beretta 92S non avrebbero mai raggiunto gli stabilimenti della Heltston. Sarebbero state pagate (e quindi, presumibilmente anche acquisite fisicamente) da un'altra ditta: la sconosciuta "Super Vision International ltd". Alla quale nessuno ha mai concesso l'autorizzazione.
Fatto sta che 45mila pistole sono arrivate in breve nella terra che fu di Saddam Hussein. E, fatto ancora più grave, le rivoltelle tricolori non sono andate solo alla polizia irachena, ma sono state trovate in mano ai guerriglieri di Al Zarqawi. I magistrati, inoltre, nel corso delle indagini hanno verificato numerose altre irregolarità. Il 6 dicembre del 2004, viene arrestata una dipendente della Beretta mentre tenta di portare una calibro nove fuori dalla fabbrica. E’ un'impiegata addetta al magazzino, inizialmente accusata di aver asportato illegalmente 152 pistole. Successivamente, la Procura dispone il sequestro di 15.478 pistole semi-automatiche si presume anch'esse dirette in Iraq - che la Beretta custodiva nei propri stabilimenti. Pistole che, sottolineano i giudici, "risultavano prive di matricola o con matricola abrasa o ripunzonata e prive di punzoni del Banco Nazionale Prove".
La nuova tranche di pistole dirette in Iraq, dunque, è stata bloccata. Ma ora, con la nuova legge, si potrebbe arrivare all'assurdo di rendere non punibile la commercializzazione da parte di chi ha una generica licenza di detenzione e vendita di armi, di pistole e fucili provento di furto. Una “toppa” perfetta non solo per il comportamento della Beretta, ma anche per il ministero allora diretto da Giuseppe Pisanu, che vendette migliaia di pistole come "fuori uso", quando bastava un po' di grasso per permettere loro di ricominciare a sparare.
Il Parlamento distratto

Il tutto senza che nessuno, in Parlamento, se ne sia accorto. Possibile? Pare di sì. Il decreto "Olimpiadi invernali" emanato alla fine del 2005 dal governo Berlusconi non menzionava minimamente questioni relative al commercio di armi. La norma è stata aggiunta infatti in sede di conversione, in gennaio, presso la commissione Affari costituzionali del Senato, attraverso un emendamento (a firma di Gabriele Boscetto, Forza Italia, avvocato penalista, relatore del disegno di legge in commissione) che sarebbe stato poi riscritto tre volte per venire incontro alle richieste del governo (sottosegretario Alfredo Mantovano, Alleanza Nazionale, in testa). E che è stato poi inserito nel maxiemendamento presentato dal governo che sostituiva il testo precedente del disegno di legge, sul quale il governo pose la fiducia sia a Palazzo Madama che a Montecitorio. Insomma, la norma era di fatto "nascosta" all'interno di una legge che aveva tutt'altro oggetto.
E anche a leggerla con attenzione, a saltare agli occhi era piuttosto la contestatissima normativa in tema di droga. A parziale discolpa, ma non a giustificazione, di chi non si è premurato di leggere ogni parola della legge. Conseguenza immediata è stato il fatto che durante il dibattito in Commissione e in Aula - sia al Senato che alla Camera - nessuno dei parlamentari intervenuti, sia di maggioranza sia di opposizione, ha sollevato né accennato all'introduzione della norma sul commercio di armi di seconda mano. Tutti si sono concentrati sulle norme in materia di droga. E il provvedimento è passato totalmente sotto silenzio.
Downing Street

Ad accorgersi che qualcosa non quadrava, invece, è stata la stampa inglese, insospettita da alcuni comportamenti del governo britannico. Sarebbero stati infatti proprio gli uffici di Downing Street a fungere da tramite essenziale per far arrivare in Iraq le pistole della Beretta. Secondo il settimanale The Observer, l'anno scorso il ministero dell'Industria e del Commercio britannico si accordò per la consegna di queste armi alla polizia irachena. Non c'è traccia - aggiunge il giornale - che siano stati previsti anche sistemi di controllo necessari per evitare che le armi potessero finire nelle mani della guerriglia.
Il Guardian, inoltre, ricostruisce il cammino che ha portato le armi in Iraq. In data non precisata il governo Usa avrebbe chiesto alle Taos Industries (una delle società che procura le armi al Pentagono), di trovare pistole e altre armi per la polizia irachena. La Taos avrebbe quindi contattato la britannica Super Vision: guarda caso proprio il presunto "reale acquirente" delle Beretta 92S. Nel frattempo, la Helston Gunsmiths , sarebbe entrata nell'affare per ottenere una licenza di esportazione dal governo di Londra. Fin qui l'inchiesta del Guardian pare coincidere perfettamente con quella dei magistrati italiani. A questo punto, il ministero dell'Industria avrebbe dato il suo ok e le Beretta sarebbero partite dall'ltalia. Destinazione aeroporto di Stansted e, da lì, fino a giungere in una base militare di Baghdad. Quindi, nel febbraio 2005 vengono consegnate all'autorità provvisoria irachena.
Un giro ben più tortuoso e difficile da seguire rispetto a qualsiasi altro bene importato o esportato. «Conosciamo la provenienza di una singola fettina di carne o di un qualsiasi bene di consumo e non abbiamo invece idea di dove finiscano le armi che noi stessi produciamo - sottolinea in questo senso Francesco Vignarca della Segreteria della Rete Disarmo - con il rischio di vederle un giorno anche nelle nostre città a dare man forte alla criminalità, come già successo in altri paesi europei».
Una situazione, quella italiana, che ha destato anche la preoccupazione di numerose Ong. Già in passato le associazioni riunite nella Rete italiana per il disarmo "ControllArmi" avevano più volte denunciato la vicenda. Nei giorni scorsi, insieme ad una delegazione dell'Ong inglese Global Witness, hanno incontrato parlamentari e membri del governo italiano proprio per sottolineare l'urgenza di una modifica legislativa. Quanti onorevoli cadranno dalle nuvole?

Non si può prevenire e preparare una guerra allo stesso tempo.
Albert Einstein

lunedì, marzo 12, 2007

Un mondo a parte

Oggi riporto un post' un po' inquietante scritto da Beppe Grillo sul suo Blog che illustra come sia confusa la situazione politica italiana in questo momento.

"Esistono persone come me, come voi, che vivono in un mondo a parte. Un mondo parallelo dove i desideri si avverano. Una realtà di fiaba dove si va in pensione dopo due anni e pochi mesi, i Pacs ci sono già, si viaggia gratis, si percepisce uno stipendio da favola. Un mondo in cui i pregiudicati sono ben voluti e numerosi. In percentuale tale da superare i quartieri più malfamati d’Italia. In cui un corruttore di giudici può fumare il suo sigaro e rilassarsi a spese nostre. Un posto ideale con macchine blu e portaborse. Chi ha la fortuna di viverci vuole condividere con noi la sua felicità. E lo fa tutti i giorni nelle trasmissioni televisive, radiofoniche, sui giornali. Non importa ciò che dice, ma che lo possa dire.Un luogo dell’Ideale, della democrazia compiuta con persone elette dai segretari di partito. Un cerchio del Paradiso con pregiudicati, avvocati, giornalisti, dipendenti dello psiconano, sindacalisti e funzionari di partito. Non rappresenta gli italiani, ma il Sogno italiano sì. Quella aspirazione alla ricchezza e al potere senza meriti, senza intelligenza, senza onestà che è nei nostri geni. Questo mondo è un incantesimo figlio della legge elettorale e dei media.Lo scorso anno ho proposto di limitare a due i mandati elettorali, di non candidare pregiudicati, di permettere al cittadino di votare una persona e non un partito. Proposte che avvicinano la politica alla realtà. Che permettono un ricambio del sangue in Parlamento. Adesso non ci credo più. Non penso che sia possibile scalfire questa classe, l’unica vera classe in Italia, con referendum o proposte di legge. Una corporazione autoreferenziale che non vuole perdere nessuno dei suoi privilegi. L’unica possibilità è isolarla, svuotarla di significato, prendendo il controllo delle realtà locali. Un passo alla volta. Sostituendo i partiti con i movimenti e le liste civiche. Nel tempo, quel mondo a parte comincerà a svanire e ne rimarrà solo l’involucro. Le persone che lo popolano ci appariranno come in realtà sono. Dei dipendenti infedeli e, quasi sempre, incapaci. RESET!"

Io condivido il pensiero di Beppe anche se credo che questo male che affligge l'Italia sia ben più radicato di come sembra. Anche le amministrazioni locali non sono certo più pulite e ormai fanno parte di un sistema che, anche se fortemente condannato, è accettato da quasi tutti. Credo che oramai non comandino più gli ideali ma solo gli interessi a partire dai piccoli comuni.


Niente rafforza l'autorità quanto il silenzio.
Charles De Gaulle

giovedì, marzo 01, 2007

CARCERE MOLLE

di Marco Travaglio
La notizia è da prima pagina di giornali e telegiornali, infatti non ne parla nessuno (a parte un articolo dell’Espresso e uno del Corriere della sera). Nell’ultimo anno, a cavallo tra il governo Berlusconi e il governo Prodi, s’è registrato il record dei boss e killer mafiosi che si son visti annullare il carcere duro e isolato (il 41-bis). Ne sono usciti ben 89, vi restano in 526. Perché? Chi aveva preso sul serio la propaganda berlusconiana, che vantava un forte impegno antimafia per il sol fatto di aver stabilizzato con legge ordinaria il regime del 41-bis prima affidato a provvedimenti temporanei prorogati di sei mesi in sei mesi, resterà stupefatto. In realtà è proprio quella legge la causa almeno indiretta dell’escalation degli annullamenti. Se prima - spiega Giovanni Bianconi sul Corriere - citando una circolare del Dap (la direzione delle carceri) - era difficilissimo per i boss far revocare il 41-bis, visto che i tempi dei ricorsi erano più lunghi di quelli delle proroghe semestrali, e ogni volta bisognava ricominciare da capo, ora che il regime carcerario è definitivo c’è tutto il tempo per chiedere e ottenere l’annullamento. L’ultimo a tornare al regime normale, che gli consente di comunicare liberamente con parenti e avvocati, di frequentare gli altri detenuti nelle ore d’aria e soprattutto di accedere ai benefici della legge Gozzini, è Antonino Madonia, figlio di Francesco, boss della famiglia palermitana che ha insanguinato Palermo e l’Italia con centinaia di omicidi e poi con le stragi del 1992-’93. La notizia potrebbe spiegare lo strano silenzio dei boss in carcere, boss che fino a quattro anni fa si mostravano piuttosto nervosi: nell’estate del 2002 il superboss Leoluca Bagarella, dalla gabbia di un processo, accusò i politici di «strumentalizzare» i mafiosi e di non «mantenere le promesse». Altri boss denunciarono il «tradimento» dei loro avvocati eletti in Parlamento che non facevano gli interessi dei clienti. «41-bis, Berlusconi dimentica la Sicilia», recitava un minaccioso striscione apparso nello stadio di Palermo e scritto dal figlio di un capomafia condannato all’ergastolo. Lo smantellamento del 41-bis, com’è noto, era in cima alle richieste avanzate da Riina nel «papello» consegnato nei primi anni 90 a misteriosi «referenti politici». Quelle richieste sono state esaudite? A giudicare dal silenzio dei boss, si direbbe di sì. Ora, per capire che cos’è accaduto nelle prigioni italiane sotto il governo Berlusconi, la Procura di Roma ha avviato - come rivela l’Espresso - un’inchiesta che mira a verificare l’attività svolta da 71 agenti di polizia penitenziaria incaricati dall’Ispettorato delle carceri di monitorare i boss detenuti al 41-bis. Sono state nascoste microspie nelle celle? Si sono arruolati confidenti per capire dove andava Cosa nostra? E, se ciò è avvenuto, chi l’ha ordinato e cos’ha scoperto? Il 20 luglio 2006, rispondendo a un’interrogazione di Graziella Mascia di Rifondazione, il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi s’impegnò ad «approfondire la materia per valutare se e come l’iniziativa» di quella squadretta di detective penitenziari dovesse proseguire e a quale controllo giudiziario rispondesse. La domanda non è da poco, visto che un anno fa, in occasione dell’arresto di Provenzano, il Dap fu teatro di “incidenti” quantomai stravaganti. L’Espresso parla di un tentativo, rientrato all'ultimo momento, di inviare l’anziano boss in una prigione dov’era già recluso il suo storico braccio destro Piddu Madonia, arrestato nel ’93, che da anni tenta di accreditarsi come pentito. Alcuni funzionari del Dap se ne accorsero e Zu Binnu fu assegnato al supercarcere di Terni. Ma appena vi arrivò scattarono strane manovre per farlo trasferire altrove: qualcuno passò alla stampa la falsa notizia di un commento del figlio di Riina («’Sto sbirro proprio qua l’hanno portato?»). Tutto falso. L’associazione dei parenti delle vittime della strage dei Georgofili chiede da tempo di sapere quanti boss sono passati dal carcere duro al carcere molle, e perché. Ora sappiamo che il beneficio ha riguardato solo nell’ultimo anno 89 mafiosi. Ma non sappiamo ancora perché. Sappiamo però che, dal carcere, nessun mafioso si pente più. È tutto casuale, o c’è stata l’ennesima trattativa? Se non ci saranno risposte chiare, saremo tutti - non solo i parenti delle vittime - autorizzati a pensar male. Perché il diritto alla verità non riguarda solo i parenti delle vittime. Riguarda tutti noi.

Un castello solido e inespugnabile non serve a molto se i nemici si trovano nel suo interno

Parlamento pulito

Schiavi moderni

Onorevoli wanted

Ricerca imbavagliata

AVIS ITALIA

Adozione a distanza

Emergency

UAAR