mercoledì, settembre 26, 2007

PRODI, WHY NOT- Presidente, ci aiuti a sperare


di Marco Travaglio

Visto che appellarsi alla sensibilità di Clemente Mastella è un esercizio inutile questo è un appello a Romano Prodi. Con l’aria che tira, gentile presidente, tutto può permettersi il suo governo salvo che attirarsi il sospetto di voler eliminare un magistrato che indaga sul premier e sul ministro della Giustizia. A quel che si sa, presidente, il suo nome è iscritto nel registro degl’indagati di Catanzaro per abuso d’ufficio nell'inchiesta "Why Not": un atto dovuto per veder chiaro su alcune migliaia di telefonate che coinvolgono un cellulare “in uso” anche a lei, oltreché ad alcuni membri del suo staff da tempo indagati per presunte truffe sui fondi comunitari. Invece Mastella non è per ora indagato, ma agli atti della Procura di Catanzaro sono finite diverse telefonate tra due indagati (il numero due della Compagnia delle Opere, Antonio Saladino, e l’ex piduista Luigi Bisignani,già condannato per la maxitangente Enimont) e Mastella. Cioè il ministro che prima ha inviato un’ispezione a Catanzaro e ora chiede al Csm di trasferire lontano da Catanzaro il procuratore capo Mariano Lombardi e il sostituto Luigi De Magistris, che delle suddette inchieste è il titolare. Formalmente il ministro esercita un suo potere. Di fatto è la prima volta che un ministro della Giustizia chiede di trasferire un pm che indaga non solo sul capo del governo, ma anche su di lui. Berlusconi aveva tentato più volte di liberarsi del pool di Milano e addirittura di un giudice del processo Sme (Guido Brambilla), ma tramite Castelli, mai “trattato” dai magistrati milanesi. Ora invece, con la richiesta di Mastella anti-De Magistris, il conflitto d’interessi è addirittura doppio. Se lei, presidente, è estraneo alle accuse, ha tutto l’interesse a che il Parlamento autorizzi l’uso dei tabulati telefonici che il pm invierà alla Camera, così che la sua posizione possa essere approfondita e poi archiviata senza ombre. Come un cittadino qualunque. Se invece l’inchiesta fosse tolta a De Magistris, o se il Parlamento negasse il via libera, resterebbe il dubbio che le indagini siano state bloccate per via politica. E lo stesso vale per Mastella, le cui telefonate sono oggetto di indagini. Da quando De Magistris ha cominciato a interessarsi a lei, presidente Prodi, al suo entourage e al suo ministro della Giustizia, lei avrebbe dovuto triplicargli la scorta, raccomandare al suo staff di non dire una parola contro di lui e al suo Guardasigilli di lasciarlo lavorare in pace. Purtroppo è avvenuto il contrario: De Magistris - come ha scritto più volte sull’Unità Enrico Fierro, tra i pochi giornalisti italiani ad accorgersi del caso Calabria ­ è un uomo solo, sia nella sua procura, sia nella sua città, sia nella sua regione. Gli addebiti che gli muove il ministero sono ridicoli: avrebbe infilato alcune telefonate “non pertinenti” nel mandato di perquisizione del Pg di Potenza, avrebbe rilasciato “troppe interviste”, non avrebbe informato il capo di alcune iscrizioni di indagati. Ora, quella di parlare per rompere l’isolamento è spesso l’ultima arma che rimane ai magistrati in terra di mafia: ma, se non violano il segreto sulle indagini (e De Magistris non l’ha mai fatto), è un loro diritto costituzionale. Quella delle telefonate non pertinenti è un’opinione come un’altra. Quanto alle mancate comunicazioni al capo, va ricordato che il procuratore Lombardi è sospettato di aver informato indagati di un’altra inchiesta tramite l’on. avv.ind. forzista Luigi Pittelli (socio di studio del figlio della convivente di Lombardi): sicché, quando De Magistris li perquisì, trovò i cassetti vuoti. Con un simile precedente, solo un pazzo avrebbe continuato a informare il capo. Checché ne dicano i tg, quella in corso a Catanzaro non è una rissa tra procuratore e sostituto, e Mastella non è il paciere che riporta l’ordine a Catanzaro: è una tragica vicenda, tutt’altro che inedita, di giudici ragazzini che indagano a 360 gradi e di un potere tentacolare, esteso anche alle alte sfere togate, che cerca di impedirglielo. Si sperava che storie del genere sarebbero finite un anno fa, con l’uscita di Berlusconi da Palazzo Chigi. Ci aiuti, presidente Prodi, a sperarlo ancora.

mercoledì, settembre 12, 2007

V-DAY AFTER

Io c'ero!!!Lo posso dire con un pizzico di orgoglio...
E' stata una giornata importante per la democrazia in Italia, e non solo perchè centinaia di migliai di persone si sono ritrovate in decine di piazze con la "sola" forza della rete, ma perchè queste hanno voluto far capire ai nostri politici che gli Italiani non sono tutti dei burattini pronti a farsi manovrare a loro piacimento. In quella piazza Sabato si respirava un'aria diversa; un mix di rabbia e allo stesso tempo di speranza di poter veramente cambiare qualcosa.
So che è ancora poco ma credo che sia l'inizio di un grande cambiamento. L'importante è rimanere con i piedi per terra e penso che si arriverà lontano...
Sul palco c'era un anche Marco Travaglio che lunedì ha scritto questo articolo su l'Unità.

di Marco Travaglio
A vedere i telegiornali di regime, cioè praticamente tutti, sabato a Bologna e nelle altre piazze non è successo niente (molto spazio invece al matrimonio di Baldini, l’amico di Fiorello). A leggere i giornali di regime (molti), il V-Day è stato il trionfo dell’”antipolitica”, del “populismo”, del “giustizialismo” e del “qualunquismo”. In un paese che ha smarrito la memoria e abolito la logica, questa inversione del vocabolario ci sta tutta: la vera politica diventa antipolitica, la partecipazione popolare diventa populismo, la sete di giustizia diventa giustizialismo, fare i nomi dei ladri anziché urlare “tutti ladri” è qualunquismo. E infatti, che il V-Day fosse antipolitico, populista, giustizialista e qualunquista, lorsignori l’avevano stabilito prim’ancora di vederlo, di sapere che cos’era. A prescindere. Non sapevano e non sanno (non c’erano) che per tutta la giornata, in 200 piazze d’Italia e all’estero, migliaia di giovani dei Meet-up grilleschi hanno raccolto 300 mila firme (ne bastavano 50 mila) in calce a una proposta di legge di iniziativa popolare che chiede il divieto per i condannati di entrare in Parlamento, il tetto massimo di due legislature per i parlamentari e la restituzione ai cittadini del diritto di scegliersi i propri rappresentanti sulla scheda elettorale. Cioè hanno esercitato un diritto previsto dalla Costituzione, quello di portare all’attenzione delle Camere tre questioni “politiche” quant’altre mai. E l’hanno fatto con l’arma più antica e genuina di ogni democrazia: la manifestazione di piazza. Quella piazza che, quando la occupano Berlusconi e Bossi e Casini e Mastella per chiedere cose incostituzionali, tutti invitano ad “ascoltare”. E quando la occupano un milione di persone, quasi tutte giovanissime, senza etichette né bandiere (tante erano mal contate, sabato, da Bologna a New York, se alle 20 i firmatari della petizione erano 300 mila, altrettanti erano ancora in fila a mezzanotte e molti di più avevano desistito per fare ritorno a casa) diventa un obbrobrio da ignorare e rifuggire. Mentre, nel V-Day after, riparto da Bologna per tornare a casa, chiamo Beppe Grillo per commentare a mente fredda: lui mi racconta, ridendo come un pazzo, che gli ha telefonato il suo vecchio manager, “Cencio” Marangoni, per dirgli che a Villanova di Bagnacavallo c’è ancora la fila ai banchetti. E a Villanova di Bagnacavallo sono quattro gatti, perlopiù di una certa età, e chissà come han fatto a sapere che c’erano i banchetti visto che non l’ha detto nessuna tv e quasi nessun giornale. Ma se a Villanova di Bagnacavallo si firma ancora, forse questa non è antipolitica: questa è superpolitica. E’ antipolitica difendere la dignità del Parlamento infangata dalla presenza di 24 pregiudicati e un’ottantina di indagati, imputati, condannati provvisori e prescritti? E’ antipolitica chiedere di restituire la sovranità al popolo con una legge elettorale qualsiasi, purchè a scegliere gli eletti siano gli elettori e non gli eletti medesimi? E’ antipolitica pretendere che la politica torni a essere un servizio che si presta per un limitato periodo di tempo (dieci anni al massimo), dopodichè si torna a lavorare o, se non s’è mai fatta questa elettrizzante esperienza, si cerca un lavoro come tutti gli altri? E’ antipolitica chiedere rispetto per i magistrati e dire grazie a Clementina Forleo e ai giudici indipendenti come lei? Chi era a Bologna in piazza Maggiore, o in collegamento nel resto d’Italia e all’estero, ha visto decine di migliaia di persone restare in piedi da mezzogiorno a mezzanotte. Ha sentito Grillo chiedere il superamento “di questi” partiti, i partiti delle tessere gonfiate, dei congressi fasulli, delle primarie dimezzate (vedi esclusione di Furio Colombo, Di Pietro e Pannella), della legge uguale per gli altri; smentire di volerne creare uno nuovo; e rammentare che gli “abusivi” da cacciare non sono ambulanti e lavavetri, ma politici e banchieri corrotti o collusi. Un economista, Mauro Gallegati, spiegare i guasti del precariato in un mercato del lavoro senza mercato e senza lavoro. Un grande architetto come Majowiecki illustrare i crimini cementiferi che i suoi colleghi seminano per l’Italia e per l’Europa con la complicità di amministratori scriteriati, e le possibili alternative verso un modo “leggero” di pensare e costruire città e infrastrutture. Alessandro Bergonzoni spiegare la partecipazione democratica con una travolgente affabulazione (“Chi è Stato? Io sono Stato”). Un esperto di energie alternative come Maurizio Pallante raccontare quel che si potrebbe fare nel settore ambientale ed energetico al posto di inceneritori, termovalorizzatori, centrali a carbone e treni ad alta velocità per le mozzarelle. I ragazzi di Locri lanciare l’ennesimo grido di dolore dalla Calabria della malavita e della malapolitica. Il giudice Norberto Lenzi rischiare il procedimento disciplinare per avvertire che il berlusconismo è vivo e lotta insieme a noi, anche a sinistra. Sabina Guzzanti prendere per i fondelli la deriva fuffista e conformista dell’informazione. I genitori di Federico Aldovrandi raccontare, in un silenzio misto a lacrime, la tragedia del figlio morto due anni fa durante un “controllo di polizia”. Massimo Fini tenere una lezione sul tramonto della democrazia rappresentativa citando Kelsen, Mosca e Pareto. Il giornalista Ferruccio Sansa sintetizzare la sua inchiesta sul “tesoretto” da 100 miliardi di euro che lo Stato non ha mai riscosso dai concessionari, spesso malavitosi, dei videopoker e altri giochi, una mega-evasione fiscale scoperta dal pm Woodcock e dalla Guardia di Finanza, ma coperta da incredibili silenzi governativi. Alla fine ho parlato anch’io: ho ricordato Lirio Abbate minacciato dalla mafia; ho cercato di spiegare che la tolleranza zero deve cominciare, come nella New York di Giuliani, dai mafiosi e dai corrotti, non dai lavavetri e dagli ambulanti; e ho difeso Cofferati, che avrà tanti difetti, ma non quello di partire dai poveracci, visto che prima ha preteso legalità dagli imprenditori sullo Statuto dei lavoratori. Ho fatto parecchi nomi e cognomi, come tutti gli altri sul palco di piazza Maggiore. Ora scopro che fare i nomi sarebbe “qualunquismo”: e parlare in generale per non dire niente, allora, che cos’è? P.S. Ho trascorso l’intero pomeriggio sotto il palco e sul palco, e mai ho sentito parlare non dico “contro” Marco Biagi, ma “di” Marco Biagi. Il nome “Marco Biagi” non è mai strato citato per esteso. S’è parlato un paio di volte della legge 30 che abusivamente il governo Berlusconi intestò al professore assassinato, che non poteva più ribellarsi, mentre un ministro di quel governo lo chiamava “rompicoglioni”. E ne ha parlato Grillo per chiedere di riformarla, insieme alla legge Treu, aggiungendo che però “il vero problema non sono neppure le leggi: è che in Italia non c’è lavoro”. Lo dico perché un amico, l’ex giudice ora assessore Libero Mancuso, che nessuno ha visto alla manifestazione, ha parlato di presunte “offese a Biagi”. Posso assicurare che se qualcuno, dal palco, avesse davvero mancato di rispetto a Marco Biagi, su quel palco nessuno di noi, nemmeno Grillo, sarebbe rimasto un minuto di più.

I popoli non devono avere paura dei governanti, sono i governanti che devono avere paura dei popoli. Thomas Jefferson

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