martedì, giugno 05, 2007

PFIZER, ASSASSINI IN CAMICE BIANCO

di Agnese Licata
Ci sono vite che valgono meno di altre. È così da sempre. Ma quanto vale la vita di un bambino nigeriano, per di più colpito da una malattia spesso mortale come la meningite? Nel mondo perfetto e giusto che esiste solo nell’ingenuità dei più piccoli, non può esserci alcun prezzo per la vita di un essere umano, qualsiasi sia la sua età, il suo sesso, il suo portafoglio, la nazione in cui è nato. Nel mondo reale, invece, succede altro. Succede che una multinazionale farmaceutica decida di approfittare dell’emergenza sanitaria di un Paese in via di sviluppo per sperimentare sui bambini un nuovo farmaco. Poco importa se questo non ha ancora ottenuto neanche la licenza per essere usato sugli adulti. Poco importa se gli effetti collaterali sono ancora praticamente sconosciuti. E importa ancora meno se in una situazione di crisi, avviare una sperimentazione ostacola, più che aiutare, i soccorsi. Nulla ha importanza, quando si lancia un farmaco dal quale si aspetta un fatturato da capogiro. Di fronte a un miliardo di dollari l’anno, che peso può avere la vita di duecento bambini africani? Ma andiamo con ordine. Il prossimo 4 giugno dovrebbe prendere il via il processo che vedrà lo Stato di Kano (nella Nigeria settentrionale) opporsi a una delle più grandi multinazionali farmaceutiche, la “Pfizer International”. Per capire di chi si sta parlando, basta citare due dei farmaci più venduti da questa azienda americana: il Viagra, la famosa pillola blu contro l’impotenza, e il Lipitor, uno tra i prodotti più prescritti per combattere il colesterolo. Il nodo del contendere della causa nigeriana risale al 1996, quando un’epidemia di meningite, colera e morbillo colpisce il nord della Nigeria. Migliaia di morti in una regione talmente povera da avere un solo ospedale contro le malattie infettive. Al suo arrivo, l’associazione di “Medici senza frontiere” si trova di fronte un palazzo fatiscente, senz’acqua ed elettricità in molte sale, topi sui cadaveri in decomposizione. Per cercare di arginare l’emergenza, porta con sé un antibiotico comune e poco costoso, il cloramfenicol. Intanto, oltreoceano, la Pfizer è al lavoro su un nuovo farmaco, il Trovan, un antibiotico che punta a curare una serie molto ampia d’infezioni. Negli Stati Uniti i trial clinici - ossia i test necessari per ottenere l’autorizzazione dalla Food and Drug Administration (Fda) per la messa in commercio - sono ancora in alto mare. Secondo le solite “malelingue”, all’epoca il Trovan era stato testato solo sui maiali. Le dichiarazioni ufficiali della multinazionale, invece, dicono che 5mila pazienti avevano già assunto il farmaco. Sia come sia, l’approvazione della Fda arriverà solo mesi dopo, nel 1997. Di test su bambini neanche a parlarne. Negli Stati Uniti, per estendere l’uso di un farmaco anche ai bambini è necessario fare un ulteriore trial dopo quelli sugli adulti e aspettare un certo periodo dalla sua messa in commercio. Prima di essere somministrato ai pazienti più piccoli, infatti, bisogna essere sicuri che non ci siano effetti collaterali gravi sugli altri malati. L’America, però, non pone restrizioni e tutele del genere se i bambini non sono americani. Un’azienda può tranquillamente svolgere sperimentazioni all’estero senza garantire questa procedura. La Pfizer aveva intenzione di verificare l’efficacia del Trovan anche sulla meningite infantile, per aumentare ancora di più le vendite future. Peccato che trovare negli Usa i volontari necessari per i test sia praticamente impossibile: troppo pochi i casi di meningite. Ed è qua che a qualcuno della Pfizer viene in mente l’epidemia in Nigeria. Lì di casi ce ne sono a bizzeffe. Una piccola spedizione di medici viene messa in piedi in fretta e furia. Bastano sei settimane di progettazione invece dei dodici mesi comunemente necessari. Inoltre, sono sufficienti solo tre settimane dall’arrivo a Kano per fare tutto: selezionare i piccoli pazienti, iniziare a somministrare il farmaco, verificare la sua efficacia e seguire tutto il decorso. Del resto, nella mente di tutte le multinazionali - farmaceutiche e non - i Paesi in via di sviluppo sono poco più che semplici supermercati da cui prendere quello che serve senza tanti problemi: risorse energetiche ma anche vite umane. Il risultato di quella sperimentazione viene a galla solo nel 2000, grazie a un’inchiesta del The Washington Post. Dei duecento bambini selezionati dalla Pfizer, 18 sono morti e 182 sono stati colpiti da sordità, cecità, malformazioni, paralisi. Numeri assurdi che rappresenteranno il punto forte dell’accusa al processo del prossimo 4 giugno. In questi anni, l’azienda farmaceutica si è difesa dalle accuse dei genitori nigeriani con arroganza: i bambini sarebbero morti lo stesso, anzi, molti non sarebbero sopravvissuti neanche senza il salvifico Trovan. Inutile chiedere perché abbiano scelto di somministrare il farmaco per via orale invece che per endovena, metodo, quest’ultimo, che garantisce un’azione più veloce (e per questo quasi l’unico usato negli Stati Uniti sui casi di meningite). In ogni caso, sostiene la Pfizer, le carte erano tutte a posto, con tanto di approvazione da parte del comitato etico dell’ospedale di Kano, inviata al governo nigeriano. Piccolo dettaglio: all’epoca - marzo 1996 - non esisteva un comitato del genere. La smentita arriva da Sadiq Wali, il direttore medico dell’ospedale: “Non c’era un comitato etico a quel tempo. Fu creato a partire dall’ottobre del 1996, circa sei mesi dopo i test”. L’accusa rivolta alla Pfizer è di aver volontariamente pre-datato la lettera per coprirsi le spalle. Del resto, chi avrebbe mai potuto controllare? Nel 1996 la Nigeria era controllata da un governo militare di facile corruzione. Che le carte sollevino qualche sospetto è innegabile, soprattutto per quanto riguarda il modo con cui sono stati scelti i pazienti. Se una cosa del genere succedesse in qualsiasi Paese occidentale, i medici dovrebbero far firmare una liberatoria ai genitori. In Nigeria, invece, la Pfizer ha potuto approfittare non solo della disperazione di tanta gente, ma anche dell’analfabetismo. Nessuna liberatoria è stata firmata. La multinazionale sostiene che tutte le informazioni sono state date oralmente. Le testimonianze dei genitori, però, dicono altro. Dicono di aver creduto che quei medici non fossero della Pfizer ma di “Medici senza frontiere”, dato che il centro di accoglienza dell’associazione era poco distante. Dicono di non essere stati informati che ai loro figli sarebbe stata somministrata una medicina non ancora testata. Del resto, per concludere tutto in tre settimane non si può andare troppo per il sottile. Adesso, a oltre dieci anni dai fatti di Kano, che fine ha fatto il Trovan? Nel 1997 la Fda ha concesso l’approvazione. In breve tempo, è diventato uno degli antibiotici più prescritti negli Usa. L’esperimento in Nigeria non è però bastato alla Pfizer per ottenere l’autorizzazione anche per l’uso sui bambini americani. Nel giro di pochi mesi, inoltre, s’iniziarono a riscontrare gravi danni al fegato nei pazienti che assumevano il Trovan. Risultato? Nel 1999 la Fda decise di restringere la prescrizione del farmaco sono ad alcuni casi particolarmente gravi e solo all’interno degli ospedali. L’equivalente europeo della Fda preferì di vietarne totalmente l’uso. Se questi sono stati gli effetti su dei pazienti adulti occidentali, in condizioni igieniche e alimentari ben diverse da quelle che si possono trovare in Africa, c’è da sorprendersi se sono bastati solo tre giorni di somministrazione per far morire una bambina nigeriana di dieci anni, appena 19 kg di peso?Mentre si aspetta se e come inizierà il processo contro la Pfizer, forse basterebbe pensare a quella bambina africana, a come i medici di una multinazionale non abbiano provato a salvarla con un altro farmaco. Basterebbe pensare che questo è avvenuto esclusivamente per denaro, per pretendere che le leggi delle nazioni cosiddette più avanzate inizino a considerare ugualmente importante la vita di un bambino occidentale e quella di chiunque altro nel mondo.

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