venerdì, gennaio 12, 2007

CORROTTI E RIMBORSATI - Fatta la legge

di Marco Travaglio
Un disegno di legge appena varato dal governo Prodi e firmato dal ministro della Funzione Pubblica Luigi Nicolais stabilisce il licenziamento automatico dei dipendenti pubblici condannati per corruzione, o concussione o peculato a pene superiori ai 3 anni. Anche se la pena è arrivata in seguito al patteggiamento. Oggi quell’automatismo non c’è: per licenziare un condannato bisogna aspettare il procedimento disciplinare della sua amministrazione, con tempi lunghissimi che si aggiungono a quelli biblici del processo penale. E oggi, soprattutto, il patteggiamento non vale una condanna: profittando dell’ambiguità della legge,c’è sempre qualche furbacchione che dice «è vero, ho patteggiato, ma non perché fossi colpevole: solo perché volevo levarmi dai piedi il processo e stare tranquillo». Siamo pieni di sedicenti innocenti che, a sentir loro, concordano col giudice anni di galera pur non avendo fatto nulla. La furbata serve ovviamente a mantenere un simulacro di rispettabilità sociale e, soprattutto, a scansare le sanzioni disciplinari. Con la legge Nicolais patteggiamento e condanna vengono finalmente equiparati: almeno per i pubblici dipendenti che superano i 3 anni. Ma fatta la legge, trovato l’inganno: secondo un’inchiesta di Gian Antonio Stella sul Corriere, i condannati per corruzione a più di 3 anni sono il 2% del totale. Tutti gli altri, grazie allo sconto di un terzo previsto dai riti alternativi (abbreviato e patteggiamento), si fermano sotto la fatidica soglia. Quindi il 98% dei condannati per corruzione resterebbero tranquillamente al loro posto, stipendiati coi nostri soldi. A meno che il governo non corregga la legge, prevedendo semplicemente il licenziamento di tutti i condannati, a un mese o a 10 anni non importa. Se ne potrebbe parlare a Caserta, se Mastella non se ne ha a male: chi ruba denaro pubblico, pochi euro o molti milioni fa lo stesso, deve sapere che sarà cacciato. Punto e basta. Anzi, non basta ancora. Una seria bonifica della Pubblica amministrazione, oggi infestata dai pregiudicati, esige un altro intervento urgente: la cancellazione della legge ex Cirielli, che dimezza i termini di prescrizione anche per la corruzione. Fino a due anni fa il corrotto che veniva scoperto era quasi certo di esser condannato in tempo utile, visto che il reato si prescriveva in 15 anni: quanto bastava per celebrare i tre gradi di giudizio. Dal 2005, grazie all’ex Cirielli, la prescrizione scatta al massimo dopo 7 anni e mezzo dalla commissione del reato: basta avere un mediocre avvocato armato di cavilli, o un avvocato parlamentare che fa slittare le udienze perché impegnato alla Camera, per essere sicuri di farla franca. Perché mai uno dovrebbe accettare uno sconto di pena col patteggiamento o con l’abbreviato, se resistendo in giudizio ha la certezza di non avere alcuna pena? Ultima questione: il presidente dell’Eni Paolo Scaroni, per dirne uno, ha patteggiato 1 anno e 4 mesi perché, quand’era alla Techint, pagava mazzette al Psi in cambio di appalti dall’Enel. Berlusconi lo promosse presidente dell’Enel e poi dell’ Eni. L’incensuratezza è richiesta solo ai dipendenti, o anche ai dirigenti pubblici? Come lo si spiega a un impiegato che lui dev’essere incensurato, mentre il suo capo può essere pregiudicato? E la regola Nicolais vale solo per il pubblico impiego o si estende al Parlamento e al governo? Difficile immaginare qualcosa di più «pubblico» di Montecitorio, Palazzo Madama e Palazzo Chigi. Eppure in Parlamento siedono 25 condannati definitivi (più una sessantina di imputati o indagati). Soprattutto per corruzione (18 casi). Tutta gente che, in base a una legge dello Stato, non può sedere in un consiglio comunale, provinciale o regionale, dove i pregiudicati sono ineleggibili.In Parlamento invece sono eleggibilissimi.L’altroieri il presidente dell’Antimafia Francesco Forgione invocava sull’Unità «una bonifica della politica» con «un censimento dei funzionari pubblici con processi in corso o sentenze in giudicato che seguitano a operare dove han commesso il reato».Fantastico. Ma si dà il caso che, nella sua Antimafia, i presidenti delle Camere abbiano appena nominato due condannati per corruzione, Vito e Pomicino, e che Forgione li abbia difesi. Ora sarà divertente spiegare a un impiegato delle Poste condannato per corruzione che deve lasciare il suo ufficio, ma, se vuole, può diventare deputato. E,se fa il bravo, pure commissario antimafia.
da l'Unità
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